Moltissimo si è detto sul consenso informato sul suo ruolo di "documento principe" attestante la partecipazione consapevole dei pazienti alla ricerca.
Sarei curioso di leggere quello che si sa già ma che non si dice. Quello che si sa è che la stragrande maggioranza dei pazienti che partecipano alle sperimentazioni non hanno la minima idea di parole come randomizzato, doppio cieco, valutazione di efficacia, farmaco in sperimentazione, placebo ecc...
Sembra assurdo, ma la stragrande maggioranza di persone, partecipa alla ricerca in maniera poco consapevole sebbene abbiano firmato il modulo di consenso informato. Lo sperimentatore principale, che nel 99% dei casi è il medico che ha in cura il soggetto, continua ancora oggi a svolgere un ruolo eccessivamente paternalistico durante il momento del consenso informato sbilanciandosi così, anche inconsciamente, verso un atteggiamento pro-arruolamento, pro-farmaco sperimentale, pro-esitopositivodellaricerca.
Voglio essere chiaro, la risposta al titolo di questo post è no.
La prova di una scelta consapevole del paziente non può essere infatti la firma e la data al modulo del consenso ma deve essere qualcosa in più.
La gatta frettolosa ha sempre fatto i figli ciechi, me ne parlava mio padre quando in campagna avrei voluto che le piantine di pomodoro dessero in pochi giorni i frutti da raccogliere ed è lo stesso per la ricerca. Le aziende farmaceutiche però hanno a cuore i pazienti tanto quanto il bilancio di fine anno che dovrà fare contenti i propri azionisti. Perché il bilancio aziendale faccia contenti tutti, una variabile di tutto rispetto è il tempo che non deve essere sprecato.
Il Regolamento 536/2014 ne è una prova, tutto, subito e tutto prima e se per caso tu, Stato Membro, non riesci ad organizzarti scatta il silenzio-assenso che fa contenti tutti (soprattutto i miei azionisti) e chi se ne frega del resto. E chi se ne frega dei pazienti, dei Comitati Etici, e della tutela ai diritti umani? Bha, divago, scusatemi.
Il Regolamento 536/2014 ne è una prova, tutto, subito e tutto prima e se per caso tu, Stato Membro, non riesci ad organizzarti scatta il silenzio-assenso che fa contenti tutti (soprattutto i miei azionisti) e chi se ne frega del resto. E chi se ne frega dei pazienti, dei Comitati Etici, e della tutela ai diritti umani? Bha, divago, scusatemi.
Ripensare al momento del consenso informato sarebbe un grande passo avanti. Fermo restando la bontà di quanto scritto nero su bianco nel consenso informato, soprattutto nella sostanza ma anche nella forma, una attività, quest'ultima, da maestra/o di scuola, penna rossa, penna blu, svolta alle volte dal Comitato Etico (e "alle volte" è riferito al fatto che non tutti i Comitati Etici guardano il consenso informato).
Una volta definito questo, oggi chi è nella stanza con il soggetto e il medico quando si discute della sperimentazione? Indovinate...solo il soggetto (pochissime conoscenze scientifiche) e il medico (conoscenze scientifiche tante quanto basta per includere il soggetto nello studio).
Una volta mi è capitato di prendere parte ad un momento di un consenso informato per una sperimentazione che voleva testare un farmaco ipolipemizzante. La sessione è durata esattamente 10 minuti di cui 5 di attesa per l'esito del test sulla goccia di sangue prelevata al soggetto come fase di screening. Il foglio informativo era di 40 pagine e il medico è passato direttamente al modulo di consenso per le firme.
Non può continuare così la ricerca. E' necessario fornire una formazione ai soggetti con tanto di test finale per la comprensione almeno dei termini più comuni. Fornire questa formazione sarebbe un esercizio di correttezza delle Istituzioni e delle aziende farmaceutiche che fanno ricerca.
Se questo percorso risulta difficilmente percorribile, sarebbe il caso di delegare l'attività di inclusione alle ricerca ad un ente esterno, indipendente dallo Sponsor e dallo sperimentatore. Questo organismo dovrebbe essere dotato di specifici consulenti con le competenze necessarie a trasferire le informazioni dello studio e, ancor prima, della ricerca in generale, ai possibili candidati attraverso un percorso formativo strutturato. Ciò eliminerebbe l'odioso paternalismo del medico il quale, immagino , accoglierà in maniera positiva una riorganizzazione di questo tipo per l'accesso alla ricerca.
Solo così si eviterà di pensare quello che non si dice e cioè "Prendiamo in giro tutti, continuiamo così, la scelta dei soggetti non è veramente consapevole ma chi se ne frega!"
Commenti
Posta un commento